Pure il disturbo psichico è parte del danno biologico

Articolo di: Avv. Maurizio Hazan
Pubblicazione: Il Sole 24 Ore
Data: 24 Aprile 2024

Anche il danno psichico da responsabilità sanitaria, se cronico e accertato clinicamente, va classificato come danno biologico e non come danno morale. Pronunciandosi su una vicenda di responsabilità sanitaria addirittura del 2002, la Cassazione (ordinanza n. 10787 del 22 aprile 2024) chiarisce in modo netto che occorre ben distinguere, nel liquidare il danno non patrimoniale da lesione fisica, il danno morale dal danno psichico. E, soprattutto, che tali voci non vanno confuse con la “personalizzazione del danno biologico” , posta incrementale del risarcimento in presenza di conseguenze straordinarie da lesione al singolo danneggiato (in relazione ad alcune sue, del tutto peculiari e irripetibili, caratteristiche individuali). Ciò non è una novità assoluta, ma segna bene il confine tra voci risarcitorie spesso trattate in modo non rigoroso e talvolta interscambiabile, con rischi di duplicazione di poste (o di sottovalutazione del compendio liquidativo).

Il caso riguardava un paziente che aveva subito gravi danni da un negligente intervento di artroscopia al menisco. Al di là delle lesioni fisiche, il giudizio di merito accertava che il decorso post-operatorio aveva portato un «disturbo di adattamento con umore depresso di tipo cronico». La sua intensità e, soprattutto, la cronicità andava oltre una «normale o comprensibile» alterazione dell’equilibrio affettivo-emotivo, degenerando così da assumere «configurazione medicalmente accertabile alla stregua di una vera e propria lesione dell’integrita? psicologica».

Così la Corte segna ancora il confine, apparentemente netto, tra componente biologica del danno non patrimoniale – medicalmente accertabile – e danno morale, senza base organica né valutabilità medico-legale, costituito da “sofferenza interiore”. Nel 2018 l’ordinanza 7513 aveva elaborato una tassonomia delle poste di danno non patrimoniale, distinguendo il danno morale dal biologico e descrivendolo come il «dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura e la disperazione».

La decisione del 22 aprile dà particolare peso, oltre che all’accertabilità medico legale, alla cronicità del disagio psicologico. Quasi a dire che il danno morale, pur condividendo la matrice sofferenziale, si distingue dal biologico/psichico per la temporaneità, che non sfocia in disagio cronico. Un distinguo importante, a fronte della frequente tendenza a “psichiatrizzare” il danno morale con non sempre lodevoli fini speculativi.

Non è però su questo che la Cassazione accoglie il ricorso, ma sul diverso errore compiuto nel merito, riconducendo lo «stato psicopatologico depressivo» tra i presupposti della “personalizzazione del danno” non patrimoniale. Non c’era motivo di ritenere che quel danno psichico avesse generato nel paziente, viste le sue caratteristiche individuali, ricadute dinamico-relazionali eccezionali, anomale e comunque superiori a quelle “standard”, normali per «persone della stessa eta?» (Cassazione 28988/2019 e 5865/2021). Non di personalizzazione si sarebbe dovuto trattare, ma di adeguata valorizzazione dell’ulteriore danno psicofisico in un esame complessivo e unitario del danno biologico.